sabato 14 febbraio 2015

Prologo



Hayat si sveglia con un sapore acido in fondo alla gola. Non è il solito sapore di nottata in laboratorio tra intrugli e pozioni alchemiche. Quello è un bel sapore, è uno dei pochi sapori giusti nella sua vita. L’altro è il sapore di Tanit che gli resta sulla punta della lingua quando il mondo scompare, gli spiritelli tacciono e il padre della sua ghermita preferita se ne sta fuori dai piedi abbastanza a lungo da far loro passare un paio d’ore di tempo piacevole.

Ecco,  quell’amaro in fondo alla gola viene, in qualche modo, dalla lontananza del padre di Tanit e dalla cocciutaggine della sua compagna. 

La discussione era durata un bel po’ e Hayat, come al solito, aveva detto cose di cui si era pentito un secondo dopo che le parole erano uscite dalla sua boccaccia rovente e Tanit, come al solito, aveva veleggiato sopra le parole più dure come una lieve brezza che passa e non si scompone per niente.
La causa della discussione la poteva vedere persino dal letto in cui era ancora sdraiato nonostante l’alba fosse già sorta da tempo. Una lettera, un semplice pezzo di carta in una busta aveva scatenato la tempesta che ancora faticava a placarsi. La lettera di una certa Kendra Lorrimor che annunciava la morte di suo padre e indicava Tanit come una degli esecutori testamentari.

Ha significato molto per me e per mio padre quand’ero piccola.

Hayat sente brani della discussione della sera precedente.

Sì, ma è stato un secolo fa… adesso è morto, non voglio che ti immischi.

Ecco, nemmeno adesso, nella sua testa, suona bene. Suona più come una cosa che direbbe un marito geloso e possessivo e non vuole questo per loro. La gente come loro non ha bisogno di essere sopraffatta dai propri simili. 

Mi chiede solo di onorare la memoria di suo padre, è importante salutare chi giunge alla fine del proprio ciclo.

Tanit è così, ha una visione molto eterea della vita. Essendo sempre in contatto con un mondo oltre la soglia, sembra relazionarsi con il materiale in maniera quasi svagata.

Non è il funerale che mi preoccupa, è questo doversi occupare degli affari di un morto ammazzato che non vedi da quando eri poco più di una palletta d’ombra.

Tocca poi sempre a lui farle tornare i piedi per terra e anche stavolta, nonostante gli costi dover contare sull’aiuto degli altri, sa quali sono le parole giuste da dire per convincerla.

Aspetta che torni tuo padre, vedrai se non mi dà ragione sul fatto che sia una pessima idea!

Io credo invece che mi esorterà ad andare!

Beh, io ho detto che non ci andrai e, cascasse il mondo, non ci andrai.

Probabilmente era stato lo sguardo lievemente ferito negli occhi completamente bianchi di Tanit a fargli venir voglia di mangiarsi indietro ogni sillaba pronunciata… e l’impossibilità di farlo gli aveva lasciato quell’amaro gusto di sconfitta in fondo alla gola.

¬@¬

Hayat non sarebbe stato in grado di spiegare nemmeno a se stesso cosa lo turbasse tanto di questa lettera improvvisa. Sentiva solo che c’era qualcosa di perfettamente sbagliato in questa morte così misteriosa. Un professore interessato alle arti oscure che muore schiacciato da una gargolla caduta dal tetto di casa sua. Subito dopo si scopre che ha lasciato scritto nel suo testamento di convocare come esecutori un gruppo eterogeneo di persone che non si conoscono tra loro. Puzza peggio di un laboratorio alchemico di un principiante.

Non era, come diceva Tanit, il ciclo della vita che gira e si ricompone sempre in modi misteriosi. Era un puzzle a cui mancavano troppi pezzi perché ci si potesse fidare della prima impressione. 

E Hayat non voleva mettere in pericolo Tanit, perché era certo di poche cose nella vita, una di queste era che la amava abbastanza da volerla al sicuro, e l’altra era che se Tanit avesse sofferto, Samar, suo padre e mentore di Hayat, lo avrebbe fatto bollire vivo con una delle sue pozioni letali.

Perché Samar aveva scelto proprio quel momento per partecipare ad un incontro tra alchimisti? Hayat odiava doverlo ammettere, ma  in quel frangente sentiva la mancanza della sua guida e della sua presenza paterna. Ovvio che essere pensionante del tuo professore di Alchimia e contemporaneamente una presenza costante nel letto di sua figlia aveva creato qualche tensione e molti imbarazzi… soprattutto da parte sua, perché la famiglia di Tanit sembrava ormai assuefatta alle stranezze della vita. 

Comunque gli mancava, perché avrebbe sicuramente fatto ragionare Tanit e tutto si sarebbe risolto per il meglio. Perché loro non dovevano assolutamente andare, assolutamente no.

¬@¬

“Hayat? Mia luce?”

La voce di Tanit lo richiama dal lieve ottundimento provocato dal tepore delle coperte. Quando l’ifrit apre gli occhi se la trova davanti in tutta la sua grazia ultraterrena. La pelle del corpo completamente nera, i capelli rossi come la fiamma sotto un alambicco, gli occhi bianchi che guardano lontano… Hayat riesce sempre a rimanere a bocca aperta quando la guarda.

La visione idilliaca è però rovinata da uno sfarfallio al limite della visione periferica e dal lancio di suppellettili da parte di invisibili presenze che aleggiano attorno a Tanit; oggetti che l’ifrit schiva con la forza dell’abitudine e della rassegnazione. Gli spiriti che infestano Tanit sanno essere estremamente irritanti la mattina appena sveglio.

“Sono qui, mia vita!”
 
Hayat allunga un braccio fuori dalle lenzuola e il tintinnio dei suoi bracciali attrae l’attenzione di Tanit nella penombra della stanza. Nonostante le apparenze, gli occhi di Tanit funzionano perfettamente, è un’altra la condanna che l’essere Oracolo le ha assegnato. Raggiunge quindi senza problemi la mano di Hayat e intreccia le dita con le sue. L’ifrit la vede chinare il capo come in ascolto… ormai ci ha fatto il callo e gli spiriti che accompagnano Tanit sin dalla sua nascita non turbano più il ragazzo. Lui resta in attesa fino a quando Tanit con un piccolo cenno di intesa viene congedata dalle presenze invisibili.

“L’ho sognata ancora…” sussurra con un tono sorprendentemente più pressante del solito. Hayat sa già di cosa sta parlando, ma sa che la giovane è molto in ansia per questi sogni, così la lascia raccontare stringendole la mano per darle un po’ di conforto.

“Inizia sempre con quel senso di oppressione degli incubi. E’ totalmente buio e nell’oscurità sento sghignazzare prima lontano e poi vicino. Una presenza mi sfiora e poco dopo sento vomitare oscenità in un punto imprecisato davanti a me. Qualcosa mi tira i capelli e una cosa viscida mi striscia tra i piedi. In sottofondo una canzoncina canticchiata da un demente e lontano sempre più fievole il pianto di una ragazza che si dispera come qualcuno che ha perso tutto e non ha nessuna speranza.”

La giovane fa una piccola pausa per fare un sospiro e, contemporaneamente, un paio di candele guizzano e poi si spengono come per dare un segnale. Hayat sa come si conclude il sogno, si è svegliato troppe notti accanto a Tanit che ripeteva come un’ossessa quelle parole per non ricordarsele.
“Mi sveglio con le urla di quella ragazza che invoca: Livar, perché mi hai lasciato?”

Hayat stringe più forte la mano di Tanit e, mentre lo fa, vede lo sguardo di lei guizzare verso la lettera sul tavolino. Vorrebbe non fare il collegamento tra questi sogni ricorrenti che hanno la forza di un ricordo e questa lettera arrivata inaspettata. Eppure, nonostante ogni scintilla del suo corpo strepiti contraria, è la sua Tanit a chiederglielo. 

Balza fuori dal letto, spogliato ormai di ogni ritrosia, e chiede: “Allora, quando partiamo?” e subito dopo: “Tuo padre mi ucciderà!”