giovedì 5 marzo 2015

Cap. UNO in cui accompagnamo i nostri eroi sulla strada per Ravengro

Per Hayat la cosa più difficile da fare è uscire dal letto, tutto il resto poi va in discesa.

Rivestirsi con i colori sgargianti tipici della sua gente e con i monili colorati che colleziona da quando è un ragazzino lo mette sempre di buon umore; meno divertente è il momento in cui Tanit ricopre la sua pelle completamente nera, ma non è che se ne può sempre andare in giro senza niente addosso.
Tanit sceglie di vestirsi di bianco per il funerale, rinunciando al suo solito rosso intenso. Hayat trova estremamente affascinante la costante ricerca di colore della sua compagna. I colori naturali della razza di Tanit sono quelli dell’ombra, cioè il nero, il grigio e il bianco perlaceo e lei, assolutamente controcorrente, veste colori sempre accesi e, non contenta, ha tinto i capelli, naturalmente bianchi, di un rosso squillante.

L’alchimista non riesce a smettere di guardarla eppure sembra che, la maggior parte delle volte, l’oracolo nemmeno se ne accorga. Solo l’accendersi e spegnersi delle candele attorno a lei e uno svolazzare minaccioso delle tende fa capire che qualcuno  sembra essersi reso conto dell’interesse dell’ifrit.

Tanit ha finito di prepararsi e Hayat, che ha raccolto tutto il necessario per il suo laboratorio alchemico, decide che possono avviarsi verso la triste incombenza.

La giornata non sembra promettere niente di buono già dal clima. Il cielo è color grigio piombo e una nebbiolina serpeggia nella brughiera che costeggia la strada che percorrono.

Avvicinandosi alla cittadina scorgono il fiume che abbraccia il borgo e sembra delimitare il confine tra la civiltà e la brughiera misteriosa e cupa. Quando attraversano il ponte i due ragazzi scorgono una statua imponente di un uomo massiccio con un minaccioso manganello in mano che sembra quasi redarguire le ultime case strette una all'altra per non subire il giusto rimprovero.

“Hayat, chi è quel tipo?”

La voce armoniosa di Tanit scuote Hayat dai suoi pensieri che volano via come scintille nel vento. L’ifrit non ha la più pallida idea di chi sia quel bel tizio, ma non resiste alla tentazione di farsi un po’ bello con la sua ragazza e, soprattutto, divertirsi un po’ con una storia inventata.

“Devi sapere, cara la mia Tanit, che quello che chiami tipo in realtà era un famoso brigante che, ravvedutosi dopo che una bella fanciulla lo aveva pregato di risparmiarla, si è messo al servizio di questa cittadina per difenderla dai malintenzionati.”

Tanit gli regala uno di quei sorrisi sognanti a metà tra estasi e ironia, il cui segreto intriga Hayat e gli accende i pensieri. Il ragazzo risponde al sorriso e proseguono senza parlare fino a quando non vedono le prime case avvicinarsi.

Ravengro viene incontro ai due giovani con quell’aria cupa che prendono le cittadine quando l’entusiasmo della fondazione e la floridezza dei commerci lascia spazio a presagi cupi e fatti di sangue misteriosi. Il borgo è minuscolo, tutto stretto attorno ad una piazza circolare; la cittadina e i suoi dintorni sono deserti e i loro passi risuonano sul selciato. Hayat si sente strisciare addosso una sensazione sgradevole di pericolo imminente, ma forse è solo il freddo e la nebbia che lo fanno sentire a disagio. Anche le presenze attorno a Tanit sembrano in attesa di qualcosa, ma forse è solo Hayat che proietta tutto il suo malessere.

“Hai lasciato una lettera a tuo padre?” chiede quasi in un sussurro, come se non l’avesse vista scrivere di suo pugno una breve messaggio al padre e non l’avesse lasciato lui stesso in bella vista in cucina in attesa del  ritorno del suo mentore e guida, insomma l’unico adulto di cui Hayat si sia mai fidato.

“Sì.” Risponde laconica la ragazza persa nei suoi pensieri. Hayat non ha paura dei suoi lunghi silenzi e delle risposte stringate. Nemmeno lui è mai stato di tante parole ed è convinto che loro abbiano ben altri modi di comunicare.

“Ma cos’è capitato al tizio morto?” Hayat ha bisogno di parlare con lei, per combattere il freddo che sente dentro il cuore e la sensazione di pericolo incombente che sente premere su di loro.

“E’ morto, mio cuore.”  Il sussurro di Tanit potrebbe sembrare venato di ironia, ma Hayat è certo che Tanit non sia mai ironica, solo estremamente letterale in alcuni suoi commenti.

“Come?” la incalza il ragazzo.

“Come ha voluto il suo destino…” l’occhiata innervosita di Hayat fa sospirare Tanit e la convince a proseguire. “L’hanno trovato con la testa fracassata da una gargolla caduta dal muro di un vecchio edificio spaventoso…”

“Alla faccia del destino! Cosa ci faceva in quel posto da brividi?” Hayat, nella sua giovinezza scapestrata, ne aveva visitati di posti da incubo, ma la vecchia prigione, con i suoi fantasmi e la sua storia di dolore e pazzia, lo turbava più di quanto dovrebbe farsi spaventare un adulto, un alchimista, un eroe!

“Kendra, la figlia, non è entrata nei dettagli ma ha riportato  le voci che giravano su suo padre prima che morisse. Si diceva in giro che si dilettasse di necromanzia, come se fosse minimamente possibile.”

Tanit sottolinea con forza l’assurdità di queste chiacchiere. Di solito l’oracolo sembrava essere sfiorata per sbaglio dalle vicissitudini terrene, come se fosse proiettata sempre su altri piani, in contemplazione di altri misteri. Poche cose l’agitavano e una di queste era la sicurezza delle persone che amava, tra cui suo padre, l’unica figura parentale rimastale dopo la morte della madre, Hayat, l’unico che sembrava essere ammesso nel suo riservatissimo spazio vitale e, adesso, questo Petrus Lorrimor di cui Hayat non aveva sentito parlare prima ma che deve essere stato una figura importante nell’infanzia della sua compagna.

Qualunque cosa li aspettasse c’erano dentro tutt’e due fino alla punta scintillante dei capelli di Hayat.